18 Novembre 2014 nat v

LE PETIT, PETIT PRINCE – FANTASIA BERLUSCONIANA

(Omaggio a « IL PICCOLO PRINCIPE » di A. De Saint-Exupéry).
Autore: PAOLO VALENTINI — Illustrazioni: ALFRED MOIR — (Diritti depositati)

Le origini sul WEB – “L’indignazione come territorio d’arte”

A leggerla bene una frase così, buttata lì, nasconde molto, non è vero? L’indignazione non ha colore politico. L’indignazione non ha confini. L’indignazione non ha religione. L’indignazione non ha età. L’indignazione non ha sesso. Si potrebbe andare avanti ma bisognerà fermarsi per un ultimo punto: l’indignazione è assolutamente condivisibile. Il brutto del mondo o dell’Italia non è territorio di dibattito. E’ così e basta. Una merda è una merda e puzza e sfido chiunque a saggiarne il sapore, ma la sua forma…. Allora se il territorio dell’indignazione è quello dell’espressione artistica, NITAM potrebbe essere il luogo ove esprimerla. Passare così da una indignazione soggettiva ad una insofferenza più ampia e meravigliosamente creativa.

Preghiera per voi dal piccolo, PICCOLO principe: “Mio popolo eletto, aiutate la mia suprema figura a divenire universale ed eterna festeggiando questo giornata, il giorno della mia nascita, a me dedicato.

Scrivetemi e dite, per favore, a questo banale cronista di continuare a narrare le mie gesta per vederle un giorno sublimate.”

I Scena

Senza alcun dubbio la sua figura esprimeva una aristocrazia di antica matrice,
ma il suo viso paffuto ancora segnato dalle rotondità dell’adolescenza,
mostrava un ragazzo raffinato e non banale.
Si può dire un piccolo, Piccolo principe un pò lunatico e sì, a ben vedere,
forse, ahimè, un aristocratico tormentato da complessi non ancora risolti.


Quel giorno, tra la grandezza dei tanti mai uguali,
una delle sue grandi orecchie a sventola prudeva senza sosta,
ed il parrucchiere aveva esaurito se stesso ed il nero sistemandogli i suoi già radi capelli corvini,


Una piccola cravatta d’un azzurro ridicolo spariva sotto il suo collo debordante.
Panciuto, un leggera peluria gli copriva l’addome,
Che errore la minuscola camicia seriosa che aveva scelto.

Ma senza alcun dubbio, mostrava certamente un portamento fiero,
con le sue zampette in blu ben vestite puntate in terra.
Che piccolo capolavoro a vederlo imbaldanzito per uno stimolo
che stava mutando il suo riso in gioiosa minaccia.
Che scoperta meravigliosa.

II Scena

 

Slacciati i pantaloni le sue dita grassoccie nascondevano un ottavino incantato che stuzzicavano senza sosta.
Arrossendo di piacere da lui sgorgò una pioggia leggera e giallina che andò brillando ovunque,
con i colori d’un diamante un pò opalino.

Al di sotto, sul prato, dei fiori verdi, bianchi e rossi ben allineati andavano aprendosi.
Ubriacati dall’acqua miracolosa del piccolo, Piccolo principe si innalzavano,
si ingozzavano dimenticando i giorni di penuria e gli antichi fasti.
Strabiliante! Inimmaginabile! All’inizio ci fu un brusio, poi un boato fino a lui si innalzò.
Un popolo lillipuziano viveva nella terra secca e adesso ringraziava il piccolo, Piccolo… Gulliver.

III Scena

 

Tra i fiori ed i loro tre colori ondeggiavano per prendere qualche goccia di quella pioggia benedetta.
Non ne avevano mai abbastanza. Qualcuno balzava… nell’acqua. Altri ci si impantanavano.
Tutti inghiottivano convulsivamente la sua liquida ricchezza interiore donata a piene mani.
«Certamente si può dire che siete fortunati !” Sorridendo un po’ stupito.
“Ma che spreco!” disse ritenendo uno sbuffo d’impazienza.
“Gentaglia orrenda e femmine coperte di trucco. Baldracche! Asini vestiti e calzati!” Aggiunse ancora.
« Stupidi! Questa gente sono dei mascalzoni senza rispetto!» Farfugliò un po’ confuso ed imbronciato.
“E’ pieno di miscredenti ! » Sprofondato in una sorta di misticismo religioso.

Poi, con uno sguardo sprezzante decise di tagliare corto.
Stuzzicato dall’occasione e senza alcun riguardo per il suo alto lignaggio,
ebbe un’altra trovata meravigliosa. Benefattrice.
Con fiero portamento si girò calandosi ben bene i pantaloni e le mutande.
Poi si accovacciò sulle ginocchia quasi fino a terra. Strano per una personalità così riservata.
Un piccolo, Piccolo principe ricurvo e gioioso. Ma… lo sciopero della sua pancia era finito.
All’inizio restio, poi senza alcuna ritenzione mollò una enorme scoreggia.

IV Scena

 

Non aveva dovuto spingere molto e allora,
quasi sonnecchiando e biascicando d’una rinascita – interiore – emise un’altra flatulenza.
Tra i fiori verdi, bianchi e rossi solamente un poco sciupati dal vento miracoloso,
il popolo lillipuziano si schiacciava, sobbalzava e si scatenava, si scontrava, ma certamente godeva.
Si, gioiva formando una fila disordinata e inodorosa, che dondolava in direzione della «biglietteria »,
e come una biscia si intrufolava tra i grandi piedi del piccolo, Piccolo… Gulliver.
Poi, senza più vincoli, e distendendo la sua pancia sull’immenso podio fiorito,
ci fu la più incommensurabile colata di linfa che un Dio “visibile” e onnipotente potesse fare.
A ben vedere… ehm… annusare, la fitta puzza era insopportabile ma la calca gridava ingozzandosi.
«La manna! La manna celeste! La manna cade dal cielo!”
« La manna cade dal culo !” sussurravano dei tizi scavando nel fango per ripararsi.

Il popolo e la sua merda mescolati insieme in un immenso paiolo non più fiorito.
Poi il piccolo, Piccolo principe si rialzò per non inzaccherarsi e sorridendo allontanandosi disse:
“Ahh! L’ho fatta sublimemente grande. Non avrei mai osato tenerla tutta per me stesso”.
Pervenivano ancora dei lontani boati ma nessuno poteva più apprezzare quell’aria magistrale.

V Scena

 

Nessuno poteva più apprezzare… l’aria???
Che mondo meraviglioso ove il “nessuno” sono in realtà “pochi”.
Su una piccola collina quei “pochi” s’erano solo un poco inzaccherati ma confabulavano e sorridevano.
Sembravano pensar molto e ancor più scrivevano.
Pagine e pagine irriguardose verso colui che tutto perdonava.
“Ma perché mi fate ciò?” Disse con aria assai benevola il piccolo, Piccolo principe.
“E’ la nostra attività. Usiamo l’intelletto e critichiamo. Tutta questa merda da voi donata al popolo non è cosa giusta.”
“Ma è la – mia – e poi anche voi mi ricoprite di merda… certamente meno preziosa.” Disse incrociando le braccia e gonfiando ben bene il petto
Si guardarono esterrefatti. Cominciarono a confabulare tra loro. Volarono parole grosse e schiaffi.

“Basta!” Urlò assai irritato il piccolo, Piccolo principe.
“Datemi merda a piene mani ed io vi ripagherò con oro. Sì! Gioielli e diamanti per ogni vostra sublime defecatio
letteraria.”
Che meraviglia veder ora la mattina aleggiare parole irriguardose da quella collina,
e lui, il piccolo, Piccolo principe con somma indulgenza ed un eterno sorriso rimpinguva puntualmente d’oro l’irriverente casta.
“Amo il – Caino – che è in voi.” Diceva accarezzandoli sempre con infinita dolcezza.
Che magistrale trovata e che bontà avergli donato la possibilità di ben scrivere e veder tutti costoro ogni mattina ben rancorosi, supremamente soddisfatti and… satolli.

VI Scena

L’invidia è una gran brutta malattia.
Ci si ammala e non si trova medico e cura.
Il piccolo, Piccolo principe andava foraggiando ormai da tempo intellettuali d’ogni specie e lui, miserrimo, non riusciva a tirar fuori uno straccio di vero ed autentico estratto neuronico.
Magari una teoria piccola e bislacca da mettere in piedi in quattro e quattr’otto.
Prese dei libri di cucina ma… niente.
Afferrò un paio di riviste porno ma… era una giornata assai moscia.
Qualcuno gli passò delle vecchie settimane enigmistiche già ben risolte, ma da sempre il suo unico interesse era andato per le barzellette. Neanche granchè quelle sotto gli occhi quest’oggi.
“Che tristezza,” disse amareggiato.

Cos’altro poteva sfogliare? Il suo mondo culturale non era mai andato oltre.
Finalmente arrivò la soluzione ed una lacrima apparve sulle sue paffute gote.
Da sempre il manuale di scuola guida era stato la sua maledizione e la sua gioia.
Letto e riletto decine, centinaia di volte per superare quel maledetto, insuperabile esame,
ed aveva pagato pure, più e più volte inutilmente, quel gran cazzone di lillipuziano d’un esaminatore.
Sfogliò e risfogliò per ore quel manuale di guida e finalmente ebbe la sua giusta ed universale teoria:
“Chi viene da destra ha sempre ragione,” disse arringando alla folla estasiata.

“Chi viene da sinistra ha sempre torto,” aggiunse sventolando la sua bibbia ed enfatizzando un principio che si
prospettava rivoluzionario.

Magia d’un solo ed unico piccolo, Piccolo principe che aveva trasformato il grigiore d’una giornata qualunque in autentica festa per se e per il suo popolo in estasi.
“Ma che succede per chi viene da destra ed ha lo stop?” chiese un tizio in maniera assai irriverente.
Il piccolo, Piccolo principe lo guardò stupefatto e rispose da par suo sorridendo: “E’ un’ipotesi che non esiste.”.
Quelle pagine sul manuale di guida non le aveva mai capite e quindi… strappate.

 

VII Scena

“Che tu sia il cambiamento che desideri vedere nel mondo,” aveva letto in bagno su una foglio di giornale prima di coricarsi.

Leggendo, come al solito aveva puntato bene l’indice e passate lentamente ad una ad una le lettere di quella frase ma… niente!.

Si era poi definitivamente arreso leggendo un nome incomprensibile: Mahatma Gandhi.
“Deve essere un qualche sporco immigrato,” s’era risposto togliendosi la dentiera.
Però in piena notte aveva chiamato mezzo mondo per arrivare alla soluzione di quel rebus fatto frase ed alla fine, stremato, s’era affidato al Padreterno o meglio, ad un suo amico parroco che per tagliar corto gli aveva detto: “Che palle a quest’ora. Il significato di quella frase è… devi essere buono. Hai cominciato proprio male. Ok?” Ed aveva riagganciato senza alcuna benedizione.
La mattina successiva il piccolo Piccolo principe si svegliò imbaldanzito di buon mattino, uscì in fretta, salì su un autobus stracolmo e a gran voce sorridendo lanciò: “Ciao cari amici, io vi amo tutti tantissimo.”

Strano, la gente oggi lo scrutava con disprezzo ma con il suo cuore pieno d’amore lui cominciò a guardarsi intorno, a rimirar ben bene e sorridendo, le dolci creaturine dell’universo femminile.
Ai lati della bocca cominciarono a scorrere due piccole gocce via via più lunghe.
Le asciugò alla meglio e si concentrò su una graziosa bimba ancor lontana dal fiorire.
Prese a carezzarla da cima a fondo.
Da cima, nel mezzo e a fondo.
Poi solo nel mezzo e a fondo ma la mamma accorgendosene ed urlando gli mollò un sonoro ceffone.

“Potrei essere la sua fortuna,” disse candidamente.
La mamma era lì lì per… “Si signore, gra…”, ma in un batter baleno la folla lo circondò, “porco!”, “schifoso!”, “con le bimbe adesso!”.
“Sarei magnanimo anche con voi. Vi amo,” ripeté per poi sentirsi assai strano, molto molto strano
Come un nuovo Mahatma Gandhi in versione occidentale, terrorizzato, quasi impossessato da un oscuro spirito sussurrò, “che io stesso sia il cambiamento che desidero vedere nel mondo.”.
Era indubbiamente in fase mistica.
Aggiunse anche “grazie signore!” proprio quando un terribile calcio dato da un tizio assai vigoroso gli mostrò il reale valore dell’universo e magnanimamente concluse con un “ancora, vi prego, ora su quello di destra…”.
Quest’ultimo fu persino peggio e più forte del primo ed il dolore si accompagnò al silenzio.

Quel silenzio, ora ricordava bene, l’aveva letto proprio in bagno la sera prima.
Quel certo pezzente immigrato, quel Gandhi l’aveva scelto di proposito mentre a lui due colpi magistrali sui coglioni l’avevano imposto.
Fu terribile essere portato al commissariato e subire domande infamanti ma la sua nuova dimensione venne in suo aiuto.
Certo le prime furono terribili: “La vostra identità?”… silenzio. “Il vostro nome?”… silenzio.
Stava scoprendo un lato inascoltato di se stesso.

Non poteva proferir parola e così aprì le braccia, le spalancò in segno di… “Cazzo, non riesco a parlare in queste condizioni…”, ma quell’impossibilità a comunicare si trasformò in un segno divino, in amore.
Pazzesco ma il gesto delle sue braccia fu percepito veramente come un segno di estremo amore. D’amore esagerato. Quello d’un cuore esplosivo per la sua benevolenza.
Ad onor del vero lui, il piccolo, Piccolo principe giaceva solamente a terra, nudo come un verme, imprecando dentro se stesso per quel dolore planetario.
Sapete, qualche volta accade che il silenzio abbia più effetto delle parole, così i poliziotti piangendo cominciarono a baciarlo, qualcuno più degli altri.
Questo fatto impennò vorticosamente, nel più profondo o meglio, dalla base alla sommità il suo – oggetto volante lì non ancora identificato. – ma capace, solo in questo puntodel suo corpo, di rimandare ad un intendere e ad un volere.
Che felicità. Che gioia immensa.

La Legge lo aveva indubbiamente eccitato a dismisura.

VIII Scena

Però la situazione era indubbiamente imbarazzante.
Mai gli era successo di stare nudo davanti alle forze dell’ordine e a così tanta gente che via via si assembrava intorno a lui.
Certo lo stato di eccitazione del suo elemento pensante non sembrava avere alcun momento di stasi e lui, il piccolo, Piccolo principe se lo guardava con somma ammirazione, estasiato da così marmorea entità.
In realtà era la folla che ancor più manifestava la sua attenzione per quell’obelisco gioiosamente imbaldanzito.
Lingue penzolanti. Occhi fuori dalle orbite. Rossori diffusi in ogni dove e braccia protese a toccare il miracolo… la bacchetta magica d’un cambiamento in divenire.
D’una metamorfosi inarrestabile.
“Vestitelo! Vergognatevi!” gridò dalle retrovie uno dei soliti perbenisti benpensanti.
Se ne persero le tracce in un batter baleno ma più d’uno imprecò contro la sua immagine, un oscuro spettro che sembrava scioltosi in una pozzanghera d’acqua stranamente cristallina.
Giornata di miracoli.


Strani pensieri percorrevano la mente del piccolo, Piccolo principe.
“Se ha funzionato il silenzio allora potrà funzionare anche la mia nudità.” si chiese o meglio, confabulò tra se e quel se mollandogli due ceffoni lì in basso.
“Perché mi tratti così?” disse lui.
“Devi essere sveglio e pronto all’azione.” disse l’altro lui.
Mio Dio avete problemi nel distinguere i due…lui.
Fate voi come più vi aggrada.
Ma torniamo a noi.
Qualcuno s’era inventato che la Legge è uguale per tutti.
Per giunta è sempre in aiuto dei più deboli e si manifesta secondo le sue regole ed i suoi modi e così, proprio mentre sembrava ritornare sui suoi passi…
Chi?
E’ veramente stancante ripeterlo e cercate di attingere alla vostra immaginazione d’esseri insulzi.
Ebbene quando quel lui grande nell’altro lui piccolo sembrava arrendersi alle fatiche della giornata, una meravigliosa musica celebrativa, sì un inno, comincio a sgorgare da un altoparlante attaccato lì ad una parete.
Intendiamoci bene, di note musicali il piccolo, Piccolo principe non aveva mai capito un fico secco ma ogni tanto prendeva a fischiettare e questo gli bastava per riempire di gioia il suo cuore melodico.
Anche nel fischiare solitamente emetteva più aria che suoni ma anche il vento soffia e la sua musica non ci è mai dato contraddirla.
Comunque alle prime battute di quell’inno solo lui sembrò prestare attenzione perché la folla, trovata la sua divina e celebrativa santità, non poteva certo avere orecchie per versi musicali così banali ed inutili in quegli attimi di deflagrante concitazione.
Finalmente il piccolo, Piccolo principe cominciava a sentirsi a suo agio nella sua innocente nudità e così riprendendo la posizione eretta si mostrò all’orgia adorante intorno a lui nella sua esplodente magnificenza.


Ora tra il nostro eroe ed il mondo circostante vi era solo il suo attributo a crear nobile e perentorea distanza, e come mano tesa per essere baciata fu altrettanto reso omaggio al suo organo, imbaldanzito a considerevole misura da quelle note musicali che parlavano di “unione e risveglio e armiamoci e… Boh!” disse tra se e se per quelle parole indecifrabili ma aggiunse “sono solo per te.” rivolgendosi al suo famelico rapace solo un poco ingentilito dagli eventi.
Che cosa magnifica l’adorazione.
Che stato di bellezza assoluta veder omaggiare il nostro eroe in quegli attimi di pervadente concitazione.
Lacrime e sorrisi si accompagnavano in egual misura ma la nudità, come certo saprete, esige rispetto e devozione.
La nudità quando eccelsa nel suo elevato, sommo stemma di rappresentanza richiede d’essere omaggiata da par suo.
Alla Legge non può mai mancare una bandiera e lì, sul muro scrostato e pieno zeppo d’altre irrilevanti nudità, v’era un drappo sudicio. Tanto sozzo da non far più discernerne i colori.
“Prendiamola è per lui.” “Troppo in alto non ce la faccio.” “Montiamo qui. Uniamo quei tavoli… Cazzo mi fai male.” “La stai uccidendo per Dio.” “E’ morta,” e fu così, , che in quel guazzabuglio il rosso, riappropriatosi del suo sangue, fu strappato insieme ad un altro pezzo d’un verde appassito.
E che dire di quel bianco divenuto grigio plumbeo e del quale sembravano essersi perse le tracce.
Pezzettini di stoffa volavano da una parte all’altra come coriandoli in festa sulle note d’una musica tanto baldanzosa quanto inutile.
Qualcuno prese a raccoglierli ancora in volo e ad incollarli. Altri tentarono l’unione dei frammenti sputandoci alla meglio.
Qualche nodo qua e la e diverse mollette ricrearono la parvenza d’un cencio ove dal bianco al verde e poi al rosso, in migliaia di pezzettini radunati di stoffa, sembrava sprigionarsi l’essenza d’un festoso carnevale.
Per quel brindello l’asta fu trovata ove era logico che fosse ed il piccolo, Piccolo principe salì alla gloria in quel giorno sublime, adornato nudo di cotanta sventolante bandiera.
Fu poi nobile il silenzio, e l’adorazione si accompagnò a quel gesto tanto semplice e devoto che è l’inginocchiarsi in preghiera.

IX Scena


“Voi siete un tangibile dono in tempi come questi,” disse un tizio che dalle retrovie, con uno striminzito codazzucolo di seguaci, s’era fatto largo tra la folla e giunto in prima fila mostrava un’aria assai importante.
“Mi sono preso la libertà, e ne sono particolarmente onorato, di organizzare una parata in suo onore,” aggiunse persino commosso, e per dare chiaro riscontro alle parole si inginocchiò anche lui baciando la cenciosa bandiera ancora ben sostenuta da umana ma sovrannaturale asta.
La radiosa arma divenuta vessillo, avanzando col giusto piglio, avrebbe potuto senza troppa fatica infilzare quel foruncoloso e spocchioso gaglioffo, ma d’inutili caduti ve n’erano stati fin troppi e poi si sa, non c’è santità senza morti e la sacralità, quando restituita a buon teatro ammette sempre un superstite.
“Sapete…io non vi tradirò mai. Sarò sempre al vostro fianco e vi farò scudo con il mio corpo,” aggiunse l’omucolo forse per darsi un’aria di maggior rispetto.
Il piccolo, Piccolo principe se lo guardava assai perplesso.
“Tradimento?” si domandava tra sé e sé. “Perché mai si presenta al mio cospetto iniziando in questo modo e sì che mi parla d’infedeltà, di vile fellonia e d’inganno e perfidia a me che ho fatto d’onestà, d’alta probità virtù,” pensò ancora in quella rara giornata di positive effusioni cerebrali.
Tradimento! Mai parola gli era stato così straniera ed allora invece di prendere a misurare ancor più il verbo cercò di guardar bene il personaggio che si era piazzato lì davanti a lui e poi, cosa più importante, ben accompagnato al suo fianco da signora di rara virtù, lasciata appena un po’ sfiorire sotto mani poco attente e giovane valletto forse eunuco al seguito.


Il silenzio e la nudità avevano aperto al nostro eroe una voce interiore che faceva fatica a decifrare e che gli bisbigliava frasi tanto belle quanto inutili ed ora gli diceva piano e lentamente “l’uomo è l’immagine dei suoi pensieri.”.
“Ma a chi si rivolgeva? Mio Dio quante inutili complicazioni,” si andava ripetendo con la sua solita semplicità il piccolo, Piccolo principe che in un impeto di passione si lasciò andare anche a quel banale “Anche la signora che è con lei, quindi anche lei è pronta al sacrificio per me? Sa, quando mi si offre qualcosa aborro il diniego. Insomma, come sa sono stato sempre incapace di dire di no. Per fortuna sono un uomo e non una donna,” e concluse con un fantasmagorico sorriso lasciando che la dentiera risplendesse in tutta la sua offuscata lucentezza.
Che meraviglia. Guardandosi ora lì in basso, ma non troppo, si ritrovò orgoglioso d’aver fatto seguito a quella domanda con una frase che avrebbe probabilmente lasciato a future generazioni e quindi non potè fare a meno lui stesso di accarezzare il suo attributo che l’aveva probabilmente stimolata.
La voce idiota che poco prima gli aveva parlato era stata repressa come era giusto che fosse.
“Se mai ci sarà creativo tradimento allora potremo forse accelerare i tempi e cominciare positivamente a condividere qualcosa. Magari la sua signora vorrà prestarmi in questi attimi la sua innocente beltà di donna mai turbata. Che ne pensa?” chiese con quel suo solito garbo e sorridendo il piccolo, Piccolo principe.
“Ma… forse… ma sì, direi certamente di sì. Lei, la mia signora si è sempre data a quell’amore generalizzato che ho reputato virtù. Sono quei caratteri che vengono da famiglie di vecchi e positivi principi. Sì amore, vai con lui ora mia soave tenerezza, e che le trombe di questa parata intonino note celestiali per l’atto purificatorio che sarà pronto a succedere,” bofonchiò fortissimo, quasi con voce baritonale alla sua oramai dolce ex metà, invitandola a seguire la radiosa strada concupiscente del piccolo, Piccolo principe.
“Mi raccomando fallo anche tu,” aggiunse rivolgendosi al fedelissimo servitore, a ben vedere solo il fratellino della donna e così anche l’ignaro piccolino, senza che glielo fosse stato ordinato, si avvicinò alla umana bandiera e brandendo ben bene l’asta la baciò in modo ossequioso.


Probabilmente fu solo per questa ragione che il vessillo, spianato a mò di fucile, decise per proprio conto di risparmiare i due inetti, tizio e cognato.
“Prenderò solo quanto di più buono c’è in voi, mi accontenterò di quel che mi offrite e che con tanto garbo non mi è concesso rifiutare, e cioè la vostra donna e quel che mi avete assicurato essere il suo fratellino,” disse il piccolo Piccolo principe.
“Io sono pronta ad essere vostra e vi giuro che sarete l’ultimo della mia lunghissima ma altruistica serie d’amori diffusi, ma mai popolari,” disse la donna voltandosi, pronta all’uso, ma togliendosi repentinamente l’ultima minuscola frontiera d’intima stoffa aggiunse ancora, “ma cosa ne farete di lui, di mio fratello e sì, dell’intera mia famiglia che tanto mi è stata vicina in questi anni di sapienti migrazioni maschili. Però ora vi prego, abbassate la vostra bandiera davanti a lui. Potreste ucciderlo se solo vi sfuggisse inavvertitamente quel colpo a voi solo permesso e sapete, io l’ho amato fino ad un istante fa, lui come i tanti altri naturalmente,” aggiunse concludendo proprio quando un lacrima sembrava solcargli il viso prima di lasciare il suo ex, votato a così nobile altruismo.
“Il piccolino ce lo toglieremo dalle… pardon! Ma sì, lo faremo studiare tra valli verdi, montagne innevate, mucche e pecorelle. Lo faremo rimpinzare ogni giorno di buon burro e cioccolata. Si sveglierà ogni mattina al rintocco d’una moltitudine di orologi a cucù. Poi gli toglieremo quell’insana ed intima virtù maschile per donarlo a più nobile ed indifferenziata causa. Contenta? Ma ora preparati,” disse forse un po’ annoiato ma subito, dando retta a quella voce che ogni tanto gli parlava da oscure cavità, aggiunse ,“le armi non si depongono davanti al nemico ma solamente davanti a se stessi.”.
Cominciava proprio a non poterne più di quel suono interiore, di quella voce che senza autorizzazione emergeva da oscuri inferi. “Deficiente, stai zitta,” sussurrò tra sé e sé ma subito si rinsavì urlando poi alla folla, “signori sto vivendo un impareggiabile momento di superiorità. Meno male che per voi ci sono io. Siete felici?”.
Immediatamente calò il silenzio. Le trombe taquero forse ingenerosamente ma poi un grido si levò dalla folla. Un boato colossale si propagò in ogni dove e fu solamente quel “meno male che esisti. Dio sia ringraziato che ci sei. Resta con noi. Non ci mancare mai,” un suono colossale che fece un giro planetario.
Da quelle grida all’unisono si sollevò flebile la voce di quel dolcissimo fratellino che guardando l’ex cognato, ma rivolgendosi al piccolo, Piccolo principe disse, “bapu ti ringrazio tanto per quello che mi offri ma dai, ti prego, lui proprio non ti farà mai del male, è proprio inoffensivo. Trova qualcosa da fare anche per lui.”.
“Bapu?” chiese il piccolo, Piccolo principe ed aggiunse “ma che cazzo vai blaterando.”.
“Babu! Papà! E’ in indiano ma se vuoi sarà solo… papi come ti chiamano quel gruppo di ragazzine laggiù,” disse il maschietto indicando un gruppo di adolescenti votate all’adorazione assai pratica e seriale del nostro eroe.
“Idiota! Loro se lo possono permettere e tu no. Mai.” Urlò il piccolo, Piccolo principe rifilando un sonoro ceffone all’irriverente fratellino della bionda, oramai votata a ben altra realtà rispetto alle privazioni del suo più recente passato.


“Cosa devo fare ora?” disse un po’ imbronciato il gaglioffo dopo aver ceduto moglie e cognato senza nulla chiedere in cambio.
“Per voi ho pensato a qualcosa di meraviglioso ed in questa nuova funzione vi sentirete magicamente realizzato”.
“Cosa? Per voi tutto, mio unico e grande piccolo, Piccolo principe.”
“Avrò bisogno di fedeli discepoli che comunichino la mia parola ed il contrario di essa e per tale ragione vi nomino capo dei miei più fedeli felloni. Andate per il mondo e cercate nuovi adepti da donarmi. Invaso da così luminoso talento non vi sarà difficile e vi amerò per questo.”.

X Scena


“L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo,” aveva ripreso a sussurrare quella voce interiore al piccolo, Piccolo principe.
Questa volta però il nostro eroe cercò di andare a fondo nella faccenda.
“Non te la caverai a buon mercato. Ti farò stare al tuo posto una volta per tutte. Sono furbo anch’io lo sai?” si disse con un’aria assai pensosa per passare immediatamente all’azione.
Pensò di primo acchitto che era sicuramente indubbio che il suo pene era lì con lui ed ovviamente era anche ben eretto, spavaldamente esibito ed imbandierato come giusto che fosse. Insomma, tutto, ma proprio tutto era al posto giusto.
Poi cominciò a dar segni di maggior riflessione guardandosi quel celestiale infinito lì, tra le sue zampettine grassocce e flaccidose. “Ma se c’è lui ci sono anch’io e quindi tutto il mio corpo è con me. Lo vedi che dici cazzate,” arrivando quasi ad urlare, spazientito da quella voce che dal profondo gli andava ripetendo frasi senza senso.
”Ho bisogno d’un po’ d’aria,” disse il piccolo, Piccolo principe muovendo alcuni passi verso l’uscita.
“Non ci lasciare. Rimani con noi,” cominciò ad urlare terrorizzata la folla.
“Forse è ammalato. Magari sta morendo,” disse un gruppo di vecchiette incuriosite da un possibile decesso prematuro che però non aveva toccato la loro veneranda età e più d’una esibì quel gesto della mano tanto umile e caro ma soprattutto scaccia sfiga.
“Facci godere. Ora e per sempre,” urlarono indemoniate quel nutrito gruppo di adolescenti che al loro ripetitivo “Papi,” fecero seguire l’immediata svestizione senza che altra parola si aggiungesse a quel nomignolo tanto dolce e stuzzicante.
Diciamolo francamente, certo non è che tutto fosse così meravigliosamente straordinario nel piccolo, Piccolo principe.
Ad esempio la statura era stata sempre un suo cruccio ed in tempi non sospetti s’era lasciato anche andare ad un paio di décolletées di dieci e più centimetri, ma come visto la natura lo aveva ben ripagato in altra parte donandogli quell’obelisco che mai essere umano potesse sognare.
Ora senza più alcun indugio era giunto il momento di non far piangere il suo popolo preoccupato del suo stato di salute.
Non c’era da perdere un attimo.
Ancora nudo e con vessillo sventolante si fece portare una sedia e vi salì arringando alla folla, “non sono malato, sono superman, e lo vedete, sono un miracolo che cammina.”
La gente era commossa. Queste erano parole che suonavano come una magica poesia e certamente mai più sarebbe stato possibile scendere a così profonda capacità di scavare nell’animo umano.
Una frase tanto semplice quanto immensa ed in grado di diffondere amore a piene mani.
“Spesso l’uomo diventa quello che crede di essere,” aggiunse impetuosamente ancora arringando alla folla.
Folle. Pazzesco oltre ogni misura.
Stavolta c’era stato indubbiamente un qualche corto circuito nel suo corpo che gli aveva fatto dire una frase non voluta.
“Sei stato tu?” disse brandendo nervosamente con ambedue le mani il suo organo fin troppo pensante ed avviando davanti al suo popolo una rissa del tutto personale.
La folla era interdetta. Quella frase così banale non l’aveva proprio capita. Era mai possibile che il piccolo, Piccolo principe si lasciasse andare ad una tale banalità?
Furono attimi infiniti ma poi un silenzioso sorriso si fece largo nella sterminata platea.

Naturalmente quell’intima colluttazione andò avanti ben oltre qualche minuto, davanti ad un popolo estasiato che ora se la rideva a crepapelle per così alta esibizione teatrale, ma poi stremati entrambi, i due fratelli di corpo ma acerrimi rivali di vita terminarono l’immane lotta solo con un imperioso, “non ci provare mai più. Facciamo pace ok?” del piccolo, Piccolo principe che riportò certamente ordine nel suo candido corpicino solo un poco appesantito da così lungo e pesante fardello.
Che candore vedere la grassoccia manina del nostro eroe porgere il suo invisibile mignolino, in segno di pace, ad altra imperiosa mano, ahimè non dotata di altrettante propaggini.
E che meraviglia, in quegli attimi di concitazione, veder sventolare orgogliosamente quella cenciosa bandiera ed i suoi tre colori, moltiplicati in infiniti frammenti, che sembrarono riprender vita gettando al vento la loro infinita lordura.
La giornata sembrava prendere una piega inaspettata e forse negativa. C’erano dei segnali che non promettevano nulla di buono. Forse una configurazione astrale dai malefici influssi.
Allora il piccolo, Piccolo principe decise di uscire all’aria aperta per fare due passi in santa pace.

“E’ iniziata la marcia, dobbiamo seguirlo, dovrò difenderlo, costi quel che costi,” disse un tizio dall’aspetto assai cupo, ancor più annerito, con buona tinta, da corvino pizzo e certamente pronto a ricoprire un ruolo degno della frase pronunciata.
“Sarà una lunga marcia. Sarà una cammino lunghissimo che ci costerà lacrime e… sale,” aggiunse una donna dall’apparenza assai dotta anche se i libri messi in bella mostra sotto il braccio lasciavano intendere una specializzazione in materie assai vicine al corpo umano.
Che peccato però veder studiare tutti quegli erotici piaceri senza, ahimè, alcuna applicazione pratica.
“Sale???” urlò più d’uno.
“Sì! Sale,” replicò assai risentita ed aggiungendo “dovrò educarvi tutti per instradarvi verso un nuovo futuro e lo farò lavorando in grande economia.”.
“Cosa c’entra l’economia,” le urlò il piccolo, Piccolo principe che da sempre aveva dispensato la sua incommensurabile magnificenza senza porsi limite alcuno e poi al culmine dei suoi nervi le rifilò uno sganassone che le fece volare gli occhiali…. quelli sì da gran studiosa.

Però a proposito di… sale, era indubbio che quella voce interiore si stava incuneando attraverso stranissimi meandri. Forse era ancora l’anima di quel pezzente d’un Mahatma Gandhi che non contento di starsene educatamente al suo posto nel piccolo, Piccolo principe, s’intrufolava maleducatamente in corpi altrui, preferibilmente femminili e poco importante se niente affatto degni d’essere citati sugli stessi libri che la virtuale orgasmica donna esibiva sotto le sue braccia.
Ma santissima miseria, perché mai, poi, andare a scomodare una lunghissima marcia di centinaia e centinaia di chilometri quando lui, il piccolo, Piccolo principe voleva farsi solo una sgambatina di qualche centinaio di metri.
Grande, immensamente galattico il suo lui circondato da un piccolo, Piccolo principe che ora chiedeva solo un attimo altrettanto minuscolo di poetica solitudine.
Probabilmente è da qui che mosse i primi passi la sua rivoluzione nell’analisi d’un concetto tanto piccolo da chiamarsi… brevità.

XI Scena

Che il piccolo, Piccolo principe non amasse le mezze misure era cosa oramai assodata.
Come detto e ripetuto già il suo essere piccolo rimandava ad altra parte immensamente grande e mai dono fu così ben usato dal nostro impareggiabile eroe.
Ma troppo spesso erano gli eventi che decidevano per lui.
Ad esempio aveva deciso per una passeggiatina, una sgambata in piacevole solitudine ma il suo popolo l’aveva coinvolto in una lunga marcia dagli esiti imprevisti.

“Nessun uomo è inutile se allevia la vita di qualcun altro,” riprese ad urlare la voce all’interno del piccolo, Piccolo principe e questa volta ci fu un fremito che partiva dalle sue zampette ed arrivava su su fino all’ultimo capello da non molto trapiantato.
Doveva fare ordine nella sua testa. Cacciar via quella voce e capire, ad esempio, perché la femmina occhialuta aveva urlato come una ossessa a proposito d’una marcia del… sale.
Ma come a tutti gli illuminati la soluzione troppo spesso viene dall’esterno, da una visione estemporanea ed apocalittica.
“Devo organizzare una lunga marcia,” si disse con aria tanto perentoria quanto perplessa.
“Devo essere utile a qualcuno, altrimenti come lo zittisco questo qui?” riferendosi a quella voce che continuava ad importunarlo.
“E poi c’è questa faccenda del sale che proprio non capisco,” concluse sbuffando a più e più riprese.
Proprio mentre era preso da mille e più pensieri arrivò dal cielo una letterina.
Dal becco d’una colomba spuntava un fogliettino che non aveva certo l’aria d’un ramoscello d’ulivo.
A dir la verità non si trattava neanche d’una colomba, forse un’aquila, ma questa è faccenda di poco conto visto che le buone novelle hanno vie troppo spesso confuse e non sempre arrivano dai santi.

“Il piccolo, Piccolo principe è citato a giudizio celeste.”
Così recitavano le due righe scritte da divino pugno.
Si trattava certamente d’una buona notizia alla quale far fronte in tempi… brevi.
Però c’era prima da organizzare la marcia… del sale ed allora i tempi sarebbero potuti diventare… lunghi.
C’era sicuramente odor di miracoli.
Il piccolo, Piccolo principe si girava e rigirava il fogliettino tra le mani e proprio non capiva.
Lo fece vedere alla prima persona incrociata che si pronunciò con un… “rogna breve.”
Allungò il passo e mostrò ancora le quattro righe ad un altro passante che liquidò il tutto sorridendo con un… “meraviglia lunga.”.
“Rogna breve. Meraviglia lunga. Bisognava analizzare bene i due concetti ed arrivare ad una sintesi miracolistica,” pensò la parte… lunga del piccolo, Piccolo principe.

Fermatosi a riflettere un attimo davanti ad una tabaccheria il piccolo, Piccolo principe ebbe la sua trovata geniale.
Doveva togliersi dalle scatole per un po’ il suo popolo, magari vederlo sempre girare accanto a se ma adesso non doveva proprio essere scocciato.
La soluzione a tutti i suoi mille dubbi era lì davanti a lui.
“Il destino mi ha dato la soluzione. Se una tabaccheria vende il sale allora questo sarà il punto di partenza e quello d’arrivo.” Si disse con aria assai decisa il nostro amico e poi con un fischio richiamò a se i due tizi che gli avevano fornito così contrastante valutazione del messaggio divino.
Questi ovviamente accorsero in men che non si dica e si prostrarono immediatamente ai piedi del piccolo, Piccolo principe che, acquistato del sale, lo diede a mò di ostia ai due novelli discepoli.
“Noi tre ci siederemo qui e ragioneremo insieme sul da farsi a proposito di questa…. citazione a giudizio celeste. Lui, il mio popolo lo faremo correre attorno all’isolato ed ai sopravvissuti doneremo del sale.”
“I sopravvissuti?” si chiesero i due nuovi discepoli del piccolo, Piccolo principe.
“Certo! Ho voglia di restare un po’ solo. Di ridurre almeno ad un numero più umano il mio popolo ed allo stesso tempo di vederlo moltiplicarsi sfornando tanti e tanti miei piccoli discepoli,” disse con un’aria assai ispirata ed aggiunse, “le donne le faremo correre nude in una direzione e gli uomini, anche loro privi di vesti, nella direzione opposta. Lo scontro dovrebbe essere colossale ma in molti casi prevedo positivi accoppiamenti al momento della conflagrazione.”
L’idea era sicuramente geniale.
“E noi cosa dovremmo fare qui per te?” chiesero i due individui forse ancora inconsapevoli del loro ruolo.
“Io a questa citazione a giudizio celeste vorrei andare, però vorrei anche non andare. Chiaritemi voi questo dubbio,” disse il piccolo, Piccolo principe totalmente in confusione davanti a quelle due paroline scritte sul fogliettino.
“Voi, mio popolo eletto, spogliatevi tutti ed iniziate la lunga marcia… del sale,” disse indicando la tabaccheria e aggiunse, “le donne per di qua e voi in quest’altra direzione. Noi ci sediamo e quando passate qui davanti cercate di farlo in silenzio. Stiamo ragionando su una faccenda delicatissima… tra lungo e breve,” disse il piccolo, Piccolo principe arringando alla folla che era già pronta a sostenere l’immane sforzo.

XII Scena

DODICESIMA SCENA La riflessione del nostro eroe su quella chiamata a giudizio celeste sembrava prendere più del dovuto e si poteva rischiare d’andare oltre i tempi previsti che, a guardar bene, non erano neanche indicati. Era evidente che il Padre dei Padri per sua natura eterno non poteva abbassarsi a porre un limite ignobilmente temporale alla convocazione del piccolo, Piccolo principe.
Ma anche lui, di pari grado, non poteva di certo subire l’onta d’una convocazione che probabilmente sarebbe stata accettata se posta sotto forma di cortese invito.
Era quindi stata anche una faccenda di scarsa educazione e poi perché metterla in maniera così formale?
Bastava aver detto “si tratta d’una festa”. “Si tratterà solo d’un party ove lei sarà il solo ed unico grande attore,” e dicendo così certamente il piccolo Piccolo principe non avrebbe mai declinato l’invito a… comparire.
Solo lui quindi, il nostro amato eroe, a fronte della sua innegabile nobiltà, s’era posto quel problema di rispondere alla citazione a giudizio celeste in tempi lunghi o brevi quando avrebbe potuto, senza colpo ferire, mandare a quel paese il tutto.
A dir la verità ora il problema sembrava inequivocabilmente allontanarsi perché lui ed i suoi due gaglioffi sembravano spassarsela un mondo a vedere il suo popolo, uomini e donne d’ogni età che correndo nudi in opposte direzioni, si massacravano al momento dell’impatto.
“Che meravigliosa carneficina,” disse sottovoce ad uno dei due gaglioffi.

“Fantastica! Però saranno proprio pochi quelli che vi sforneranno la vostra meritata prole,” bofonchiò l’altro dei due bellimbusti riferendosi al fatto che tra uomini e donne nude, correndo in quel modo, ci poteva pur essere un meritata copulazione.
Paradossalmente a godersela alla grande erano gli anziani che non potendo precipitarsi a gambe levate si ritrovavano ad ammirare le loro vetuste beltà.
Alla maggior parte di loro seguiva un soave accoppiamento che fece versare più d’una lacrima ed un “pura poesia,” sussurrato dal nostro eroe che però non poteva di certo lasciarsi andare a miserevoli stati di interiore commozione.
Infatti si fece subito scappare un “brutti froci, culattoni, non vi voglio qui con me,” urlato ai tanti omosessuali che lenti, nello sculettante procedere, si ritrovavano ad intasare la marcia organizzando per di più, lì su due piedi, orge senza frutto futuro per l’amato impareggiabile nostro minuscolo eroe.
“Toglietemeli di torno,” urlò schifato ai suoi due recentissimi acquisti promossi a discepoli, ma proprio in quell’istante li scoprì in atteggiamenti indubbiamente equivoci.
Loro, come per scusarsi, si strinsero forte, fortissimo, quasi inginocchiandosi, al bacino del piccolo, Piccolo principe. Uno gli serrava da dietro le sue flaccidissime chiappette buttando naso e resto nell’oscura feritoia e l’altro da davanti non poteva proprio evitare il fatale e piacevole incontro che arrivò, è bene dirlo, a toccare fisicamente corde vocali private ahimè, è ovvio, del loro fondamentale verbo.
Scese un attimo di silenzio, forse due, a dir la verità magari tre ma si scongiurò il quattro e proprio in quegli istanti il piccolo, Piccolo principe rivolse il suo sguardo al cielo e sussurrò “quanto più l’uomo si conosce, tanto più progredisce.”

Era lui o la sua voce ad aver parlato?
“Non me ne frega un fico secco,” e così chiarendosi prima solo un poco il concetto, sobbalzò dalla sedia e prese a correre a gambe levate verso quel popolo dileggiato per urlargli forte “accoppiatevi, donatevi più e più volte, godete come ricci e grazie. Sì, grazie! Vi sarò per sempre debitore per avermi permesso di conoscere un mio lato oscuro, mai apprezzato e assai, sì assai gioioso… direi godereccio oltre ogni limite,” urlò estasiato senza che il suo popolo ci capisse una sega.
Detto ciò ritornò ringalluzzito, con un nuovo e strano procedere, dai suoi due consiglieri in materia di… lungo e breve, per concedersi una salutare pausa la cui natura non poteva di certo che donargli nuova linfa vitale a dir la verità, reciprocamente scambiata.
Per una volta, poi, sembrò quasi aver fatto piacevolmente sua quella cazzutissima voce interiore che a più e più riprese lo aveva infastidito durante il suo peregrinare.
Energizzato da par suo il piccolo, Piccolo principe piantò ben bene le sue due zampette sulle sode chiappe dei suoi due discepoli ancora spiaccicati a terra dopo aver misurato con viva mano l’indubbia potenza del suo mefistofelico attributo.
Erettosi poi bene sui due corpi arringò alla folla urlando a squarciagola ma volgendo il suo sguardo al cielo “il mio supremo pari grado celeste mi chiama, direi in modo forse non molto garbato. Potrei correre da lui ora o prendermela comoda ma detterò la mia unica e sola condizione. Andrò se vi sarà incommensurabile e primordiale spettacolo, perché è solo così che potrei beatificare voi, mio popolo eletto”.
Ci furono attimi di silenzio.
Attimi?
E’ importante?
Ci fu silenzio e basta ma poi anche i morti si levarono da terra per urlare tutti insieme, loro ed il suo popolo, con un’unica e magica voce “facci sognare sommo artista. Canta, balla e recita da Lui per noi solo. Sei eterno piccolo, Piccolo principe. Unico!”

XIII Scena

Che meravigliosa giornata.
Quale magnifico destino poteva mai riservare il fato al nostro superbo eroe.
Eccitato dal suo popolo il piccolo, Piccolo principe saltellava gaio e giulivo nell’ebrietà d’una feconda pazzia.
Cantava, ballava e recitava come mai aveva fatto.
Si trattava d’un momento decisamente euforico ma è proprio in questi stati di esaltazione che bisogna temere i mutevoli umori della provvidenza che mai ci è ardito sfidare senza il giusto rispetto.

“Perché temere la morte? Eppure essa ci è sempre vicina.”
Quella voce si era fatta perentoria e richiamava il nostro eroe ad una presa di contatto con quella parte dell’essere umano che ci avvicina sovente al buon Dio o ad un nulla, a seconda degli umori.
Tutti se la spassavano un mondo ed il suo codazzo di discepoli sembrava ergersi quasi allo stesso piano del piccolo, Piccolo principe ripetendo come una eco infinita mosse e parole del nostro amato eroe, senza però godere, ovviamente, della sua incommensurabile classe.
Però l’ombra minacciosa causata da quella voce, sarà il caso di sottolinearlo, stava toccando lui e lui solo.
Il vascello navigava in piena tempesta ma tutti gozzovigliavano certi che quell’estasi mai avrebbe assunto le forme d’una tragedia.
“Sono più forte di te, voce di merda,” disse muovendo solo un poco le labbra, non rendendosi conto che l’aveva sfidata senza essere pronto alla guerra.
Lui, il piccolo, Piccolo principe continuava esteriormente a mostrare il suo stato di esaltazione ma in cuor suo si andava annidando il seme del dubbio che era forse pronto ad esplodere.
In mezzo a quel carnaio di gente impazzita, accecata e sorda lui, il nostro amatissimo eroe, si sentì bussare garbatamente alle sue spallucce più e più volte.
Di mani e mani che lo avevano toccato ve ne erano sempre state e ce ne erano anche ora a migliaia ma quei piccoli rintocchi sembravano avere una valenza diversa, persi in un tempo lontano mai stato così prossimo al piccolo, Piccolo principe.
Si girò lentamente e dalla sua piccola statura si ritrovò a guardare dritto negli occhi, d’un azzurro fiammeggiante, una graziosa bimbetta che in altri tempi avrebbe divorato con ben altra famelica bramosità.
“Questo è per lei… signore,” disse la piccolina voltando le spalle per allontanarsi lentamente dopo aver regalato al nostro eroe un minuscolo specchietto. Uno di quelli che si accompagnano sovente a delle bambole che buone mani sanno ben pettinare.
“Signore? Mi ha chiamato così?” si chiese assai adirato il piccolo, Piccolo principe.
“E’ mai possibile che la mocciosetta si sia rivolta a me in questa maniera? Con un – signore – così banalmente comune?” rimuginò ancora senza arrivare ad una ovvia conclusione.

L’immane orgia continuava ma lui si era bloccato ritrovandosi nudo con quel minuscolo specchietto tra le mani.
Non vi è immaginazione che porti uomo a sviare l’uso di quest’oggetto per quel che è.
Alcuni, gli inguaribili sognatori, fanno dei raggi d’un buon sole un suo onorevole e caldo passatempo.
Altri lo restituiscono a superficie d’acqua, magari in un presepe che oggi rimandava ancora a quel Dio mai così tanto vilipeso.
Cose lontane, quest’oggi, dal piccolo, Piccolo principe che alzando pian piano l’oggetto vide in esso proiettata in un lento procedere la sua immagine e tutto, ma proprio tutto si rifletteva come vecchio e putrido.
Una superficie in grado di ritrasmettere anche il puzzo d’un corpo salvaguardato, a stento, solo per stolti occhi non più in grado di vedere.
Anche il suo stendardo a più riprese imbandierato e reso stemma d’una terra, d’un popolo accecato e gaudente, quel famelico attributo che era stato da sempre il suo marchio di fabbrica, appariva ora come un tronco d’albero sempre eretto ma sfrondato della sua lussureggiante chioma, semmai ne avesse mai avuta.
Un insulso pezzo di carne reso perennemente rigido dall’irriverente e subitanea presa di distanza di una natura non più disposta a subire l’onta d’un suo uso tanto inutile quanto scriteriato.
“Facci ridere, facci sognare, raccontacene un’altra,” urlava la folla ma l’oggettino era ora lì, implacabile davanti al suo viso grassoccio, e non vi era più nulla che potesse nascondere quei solchi amplificati da un suo ultimo ghigno che voleva dire… ma non lo disse.
“Appunto! E’ esattamente come dici tu. Sarai pur vicina ma sappi che non ti temo. Sono troppo in forma per cedere ad una banalissima… morte. Bah! Parlare di morte ora, a me. La morte?” sussurrò rivolgendosi alla sua voce interiore, scandendo bene quell’ultima parolina che aveva voluto evitare solo un attimo prima, ma lo specchio registrò inesorabilmente una gocciolina di sudore che dalla fronte, unendosi ad una invisibile lacrima, prese a scendere fino in terra senza mai perdere la sua liquida energia.
Unico, inconfondibile segno vitale.
Le danze l’avrebbero dovuto rendere caldo ma stranamente una sferzata gelida attraversò senza rispetto le grinze rammollite d’una schiena ora sì, obbligata a piegarsi.
Strani segni, oscuri presagi che avrebbero dovuto fornire al nostro eroe quell’attimo di riflessione, di presa di coscienza, ma non fu così.

“Ci andrò. Certo che ci vado io dal vostro Padre dei Padri e gliene canterò delle belle. Mi presenterò da Lui e vedremo se avrà il coraggio di ascoltarmi,” urlò al suo popolo in un ultimo momento di fulgidissima energia.
“Quella citazione a giudizio celeste è un oltraggio alla mia persona. Un atto di eterna e spocchiosa arroganza verso io che tutto posso. Io, il piccolo, Piccolo principe. Dio, perché ti sei permesso di trattarmi così?”
Detto ciò il nostro eroe si incamminò verso una sua direzione ben chiara, seguito da una oceanica folla.

XIIV Scena

“Solamente chi è forte è capace di perdonare. Il debole non sa né perdonare né punire.”
Così gli sussurrò la sua solita voce interiore proprio nel momento in cui aveva intrapreso il viaggio per rispondere da par suo al buon Dio a proposito di quella citazione a giudizio celeste.
Questa volta però, stranamente, si passò con delicatezza la mano sul suo petto e facendosi largo tra una grigia e foltissima peluria si trovò ad amare quella voce, a sentirla cara perché gli consigliava quanto in cuor suo già sentiva.
“Ok! Arrivato lì da lui vedrò di perdonarlo,” si disse fiero d’aver trovato finalmente la soluzione all’enigma che da qualche giorno lo assillava.
“Basterà dirgli che tutti possono sbagliare e che una citazione a giudizio celeste può essere anche ritirata se ci si accorge d’aver commesso un madornale errore. Questo Padre dei Padri ogni tanto ne fa proprio delle belle,” disse lasciandosi andare ad un bel sorriso.
Doveva però far capire al suo popolo che lo seguiva che anche lui era capace di frasi colte, di quelle che entrano dritte nell’animo e fanno il giro del cuore riscaldandolo nei più remoti meandri.
“Durante il viaggio vi prego di non gettare nulla in terra,” urlò alla folla con un vigore inaspettato.
La frase era di sicuro ad effetto. L’impatto non poteva che essere dei migliori tanto che più d’uno si piegò a raccogliere in un lampo le proprie cartacce buttate inavvertitamente a terra.
Le cicche furono rimosse in un batter baleno e ficcate in lattine di vario genere schiacciate alla meglio.
I chewing gum ingoiati con qualche fatica.
Insomma tutto, ma proprio tutto trovò spazio in tasche inaspettatamente capienti.

E’ evidente che il Padre dei Padri è luce splendente ed eterna e così il nostro eroe prese la strada d’un orizzonte ove andava declinando l’ultimo raggio di sole.
Camminava e camminava in quella direzione e quell’ultimo raggio mai scompariva.
Affrettò il passo ma così facendo si accorse che i raggi erano diventati due.
Allungò ancora e furono tre e poi quattro, cinque.
Cominciò a correre e l’intensità della luce arrivò ad essere quasi accecante.
“Mio Dio che fatica,” si disse richiamando quel nome ad un concetto banalmente umano.
Fece il giro della terra più e più volte con il suo popolo sempre dietro e con quei fedeli discepoli che durante il cammino gli asciugavano la fronte, ma rallentando era ovvio andare verso il buio che non è ovviamente luce, ragionò in un attimo di pausa, ed allora significava semplicemente mancare all’appuntamento con quel Dio fallibile.
Sarà però il caso di dire che quell’errare interminabile per paralleli terrestri non aveva di certo infiacchito l’altro lui che accompagnava da sempre il nostro eroe.
Sembrava anzi che il luminoso stendardo procedesse da par suo senza umana presenza a fargli compagnia.
Insomma l’avrete capito, il piccolo, Piccolo principe non ce la faceva proprio più a sorreggere cotanta eminenza, mentre il suo popolo, chissà per quale ragione, appariva estasiato e ben tonico da quell’interminabile errare.
L’oceanica folla, ovviamente, non si era più azzardata a gettare una sola briciola in terra e così molti procedevano con un gran fardello sulle spalle.
Altri saltellavano felici avendo donato l’immane fardello a servili compagni di viaggio.
Poi in un attimo di geniale pausa il piccolo, Piccolo principe scoprì l’enigma di quel Dio che man mano si allontanava nel procedere.
“Perdonatemi. E’ evidente che è il sole a girami intorno. La mia terra è ferma e la luce gira e gira e gira,” disse alzando le braccia al cielo per teatralizzare e render ben chiara la scoperta.
“Basterà invertire il senso di marcia ed in un batter baleno saremo dal vostro Padre dei Padri,” annunciò al suo popolo estasiato e commosso davanti ad una così palese virtù.
Presa l’opposta direzione cominciò a fare un gran caldo.
Il piccolo, Piccolo principe reso ad ogni passo via via più curvo e minuscolo non riusciva a sopportare più il suo compagno di viaggio che se ne andava in giro a sbafo.
Gocce e gocce di sudore si trasformarono in rigagnoli d’acqua e poi in flebili torrentelli.
Poi quel Dio annunciato fu allo zenit e lui, il nostro eroe si sdraiò a terra per vederlo meglio.
Erano l’uno di fronte all’altro ma la posizione del piccolo, Piccolo principe non poteva di certo essere così subalterna e accecata da quella solare presenza.
Doveva trovare un luogo più fresco ed ombreggiato.
Magari un qualche ramoscello… ma nulla.

“Che giorno è oggi?” chiese ad uno dei suoi discepoli.
“Boh!” rispose assai annoiato.
“Che giorno è oggi?” domandò ancora il piccolo, Piccolo principe ai suoi cento e più servitori.
“Boh!” dissero in coro dando chiaro segno di non volersi assumere la responsabilità d’una risposta assai rischiosa.
“Che giorno è oggi?” urlò alla folla che stravaccava in terra ingozzandosi da schifo… ma non gettando al suolo neanche una mollichina.
“Eccola finalmente!” disse il piccolo, Piccolo principe che ad onor del vero s’era fatto via via assai minuscolo.
E così, con un ultimo e sovrannaturale sforzo, affrettando il passo, raggiunse una buchetta, un forellino sul terreno a giusta misura del suo corpicino.
Ci si adagiò pian piano dentro e quelle pareti sembrarono fatte a posta per lui.
Per lui?
Certo, per il piccolo, Piccolo principe, ma non per il suo elevatissimo compagno di viaggio che se solo avesse voluto e con un nulla, avrebbe potuto toccare quella luce lì in alto nei cieli.
Sdraiatosi ben bene ora il nostro eroe poteva gustarsi quei raggi da una posizione invidiabile ma dopo tanto e tanto procedere lo assalì il sonno, un gran sonno, un sonno eterno, infinito.
“Sarai tu a parlar per me d’ora in avanti,” sussurrò al suo altro lui prima di chiudere gli occhi e donandogli a commiato un bacio che la sua manina aveva strappato a labbra ora mute.
I suoi discepoli e la sue gente non riuscivano più a veder traccia del piccolo, Piccolo principe ma da lontano, all’orizzonte si stagliava verso il cielo un obelisco tanto alto ed imperioso che mai ad uomo era stato ardito guardare.
Tutti si diressero verso quella direzione e giunti lì, solo per inginocchiarsi in preghiera, cominciarono a scaricare alla base del sommo monumento i tanti e tanti rifiuti accumulati durante l’immane viaggio.

Ci volle un attimo a riempire la minuscola buchetta con al suo interno il nostro amato eroe che però non se ne volle a male visto l’imminente declinare del sole e quel leggero fresco che buona pattumiera poteva certamente recar sano calore.
Anche l’obelisco, ovviamente, fu sotterrato solo per un poco.
Un poco?
La sua altezza non poteva di certo essere messa a repentaglio dai banali rifiuti d’uno sterminato popolo.
Poi lentamente la scena si andò vuotando ma da un lontanissimo orizzonte si avvicinò quella bimba che tanto e tanto dolcemente aveva fatto dono al nostro eroe d’un minuscolo specchio.
Giunta ai piedi dell’immane scultura d’umano attributo volse lo sguardo al cielo e sussurrò solo, “è il 29 settembre mio dolce amico, il giorno del tuo compleanno.”
Prima di allontanarsi raccolse un cartone unto da terra, un banale pezzo d’una scatola e ci scrisse su “auguri piccolo, Piccolo principe, oggi è il 29 settembre, giornata dell’imbarazzo planetario.”
Qualche raro fiore prese a spuntare da terra.

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